Nel 1986, a Londra, ho conosciuto Manna Weindling, Friedmann da sposata, nella Nursery School del centro Anna Freud. Questa educatrice, allora in pensione, visitava regolarmente la scuola materna del centro, dove io praticavo l’osservazione del bambino. Conoscevo in parte, grazie alla lettura di alcuni resoconti, la vicenda delle War Nurseries, aperte a Londra da Anna Freud e Dorothy Burlingham negli anni della seconda guerra mondiale, mentre conoscevo meno le vicende narrate in questo libro scritto dalla giornalista Titti Marrone che vedono protagoniste proprio Manna Friedmann e Alice Godberger. Alla fine della guerra, in una villa di Lingfield, nel Surrey, sir. Benjamin Drake mette a disposizione di Anna Freud e di alcuni suoi collaboratori e collaboratrici, una vasta ala della sua tenuta per ospitarvi 25 bambini sopravvissuti ai campi dì concentramento. Tra le storie dei bambini che le educatrici, coadiuvate da alcune psicoanaliste infantili, cercano di ricomporre, c’è anche quella di due sorelle italiane, Tatjana e Andra Bucci che, più fortunate di altri compagni, riescono a ricongiungersi alla loro famiglia. Il loro cuginetto Sergio invece non fu mai ritrovato perché probabilmente ucciso ad Auschwitz ed è a lui che è dedicata la pagina finale del libro, “per mettersi in ascolto della sua voce che non risuonò mai, per accoglierlo e fargli spazio in queste righe di una storia vera che purtroppo non lo incluse”. La storia vera è quella della “risalita” dagli abissi dei bambini accolti a Lingfield. Con enorme dedizione e pazienza le protagoniste di questa vicenda entrano in contatto con l’orrore vissuto dai piccoli ospiti, che le mette duramente alla prova, tanto che forse vorrebbero possedere un “cuore di pietra” per reggere l’angoscia visibile negli occhi e nei comportamenti dei bambini. In particolare, ricordiamo i piccoli sei reduci che, armati di un cucchiaio da cui non si separano mai, per molto tempo non fanno entrare le educatrici all’interno della compagine compatta che aveva loro garantito la sopravvivenza psichica, mentre il cucchiaio aveva permesso loro di restare in vita.
La narrazione di questa storia ci porta a contatto con un dolore inimmaginabile, ma anche di una forza altrettanto sorprendente, quella delle donne e degli uomini che hanno lottato, tra dubbi e paure, per restituire a queste piccole vittime una vita e un futuro possibili.
Dott.ssa Adriana Grotta