La cosiddetta “età della latenza” è compresa tra i sei e gli undici anni e coincide con la scuola primaria. I bambini di questa età riducono l’interesse per i temi legati alla sessualità, propria e dei genitori, e si concentrano maggiormente sulla conoscenza del mondo intorno a loro. La curiosità si sposta tu temi più generali, con una grande variabilità individuale. La famiglia, pur rimanendo il riferimento affettivo fondamentale, viene affiancata dalle istituzioni educative, e in generale dai contesti dove possono essere frequentati i coetanei. Cresce l’autonomia e il senso di identità. La mente viene percepita come un luogo dotato di intenzionalità, dove nascono pensieri e possono essere creati progetti, da condividere o tenere segreti. Il pensiero magico regredisce in favore del pensiero razionale, che permette di compiere operazioni sulla realtà concreta. Aumenta il desiderio di ordine e prevedibilità. La vita interiore, espressa negli anni precedenti attraverso fantasie e domande talvolta molto esplicite, ora è più nascosta proprio in quanto il bambino acquista la consapevolezza della privatezza della sua mente. La dimensione del segreto, e l’uso sporadico della bugia, gli permettono di salvaguardare questa sfera privata. Le fantasie, ben distinte dalla realtà, gli consentono il gioco e l’immaginazione, che sono potenti valvole di scarico delle sue tensioni e dei conflitti e, contemporaneamente, una palestra mentale entro cui mettersi alla prova senza correre dei rischi. Come un esploratore che si avventura in nuovi territori sapendo che la sua sicurezza è garantita dal “campo-base” con cui rimane in collegamento, il bambino fa “le prove” della vita adulta, senza doversene assumere gli oneri. Si pone per la prima volta il problema di quello che farà una volta diventato grande. Se la famiglia si trova a fronteggiare delle crisi – lutti, separazioni o altro – il bambino che si trova in questa fase ha l’esigenza di capire cosa sta succedendo, ma con tatto e in modo che sia rispettato il suo livello di sviluppo. Questo perché la nuova situazione non lo travolga e non lo faccia regredire ad una fase precedente o, viceversa, non lo costringa ad assumere troppo precocemente delle responsabilità che non gli competono. In ogni caso, gli adulti devono sforzarsi di non alterare in modo eccessivo l’equilibrio caratteristico di questo periodo della vita. Questo permetterà al bambino di consolidare gli strumenti cognitivi e affettivi che rimarranno suo patrimonio anche quando si affaccerà la turbolenza della preadolescenza
A quest’età arrivano in consultazione prevalentemente bambini con problemi di comportamento e/o di apprendimento, spesso su indicazione della scuola. Soprattutto nel caso di difficoltà scolastiche è necessario intraprendere un percorso di valutazione attenta di tutti gli aspetti dello sviluppo: cognitivi, affettivi e relazionali. Infatti, anche nel caso in cui siano presenti problemi di specifici di apprendimento (DSA) il bambino vive una situazione di disagio che si rilette necessariamente sul processo di costruzione della sua identità, con riflessi pesanti – e spesso irreversibili – sull’autostima. E’ quindi utile integrare sempre la valutazione cognitiva con test proiettivi e sedute di gioco libero, per comprendere meglio il bambino nel suo percorso evolutivo fino a quel momento. Il lavoro rivolto alla famiglia, che comprende una buona raccolta della storia del bambino e dei suoi genitori, è un complemento indispensabile per proporre una strategia d’aiuto che potrebbe includere la necessità di confrontarsi anche con gli insegnanti.
Adriana Grotta